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Nel tempo dell’Intelligenza Artificiale, sulla fragilità di una foglia.

Sempre più spesso, in questo tempo, si levano voci che annunciano l’avvento dell’Intelligenza Artificiale (IA), dei suoi sistemi e piattaforme, destinati a trasformare completamente il mondo del lavoro, ma anche il modo di conoscere la realtà e molti aspetti della vita quotidiana.

Si trovano in rete, ormai, servizi e siti che ci consentono di realizzare progetti, opere prima possibili in altro modo e con tempi più lunghi, per cui erano richieste specifiche competenze: pensiamo a tutto il lavoro di produzione di contenuti digitali…

Si impongono questioni su cui riflettere: Cosa rimane della creatività umana? L’IA è una risorsa, un potenziamento, oppure alla lunga andrà a sostituire le ultime capacità e possibilità creative dell’uomo?

Le risposte sono complesse e forse richiedono di tenere in considerazione esperienze e fattori differenti su cui l’IA può impattare o già è all’opera. Certamente occorre un atteggiamento che non demonizzi, né esalti in modo illusorio ed esagerato. Ragionevolmente però, ci sono margini e spazi che rimangono ancora e saranno sempre e soltanto umani:  quello dell’incertezza e dell’errore, impossibili e impensabili per sofisticati e potenti sistemi algoritmici programmati per risolvere o autorisolvere problemi; quello dell’irrazionalità che libera da schemi predefiniti e misurabili e ci fa inventare nuovi simboli, nuove logiche e capacità fino a ieri inesplorate, di mettere assieme aspetti e ambiti diversi; quello della libertà e della volontà e infine quello dell’amore, della compassione, del sacrificio e del dono di sé.

Forse, proprio in questa fragilità c’è uno spazio di grandezza umana. Forse, proprio in questa fragilità c’è uno spazio per salvarsi dalla potenza tecnocratica; per mantenere aperte autentiche possibilità di vita e dare il giusto valore all’Intelligenza Artificiale. Vuoi vedere che in fondo, ci salviamo sulla fragilità di una foglia?

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