E se accettare il fallimento, l’errore, l’incertezza fosse un fatto positivo, un vero e proprio “dono” e punto di forza per la crescita personale?
Viviamo, invece, in una cultura che ci immerge completamente in una visione opposta: occorre essere perfetti, “senza macchia”, precisi, senza mostrare segni di fragilità e debolezza che appartengono ai “perdenti”!
Non si tratta di lodare lo sbaglio; nessuno certamente svolge attività da cui si aspetta risultati controproducenti o sbagliati, ma qui, il ragionamento è se è giusto condannare e condannarsi, deprezzare o deprezzarsi se si incorre in errori e cadute che non offrono possibilità di rialzarsi.
Eppure l’imprevedibilità, la casualità, l’incertezza, l’indeterminazione, la probabilità, sono canoni delle scienze fisiche e sociali contemporanee. L’incertezza è “la condizione perfetta per incitare l’uomo a scoprire le proprie possibilità”, per il celebre psicoanalista e sociologo Erich Fromm (1900-1980).
“Non leggete i giornali. Adulano le vostre convinzioni per farvi sentire giusti. La verità è nei libri di poesia: vi fanno sentire incerti”, afferma Alessandro D’Avenia, scrittore italiano dei nostri giorni.
Un’incertezza che stimola a vivere, a mettersi in gioco.
E se accettassimo questa condizione, come matrice della possibilità di crescere?
Che ci aiuta a riconoscere nei nostri limiti, punti di slancio verso nuove opportunità di vita?