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Giovani e tempo dell’attesa: ansia per il futuro e lentezza del presente

Scrolliamo, confrontiamo, programmiamo. Viviamo in un tempo di accelerazione, complice lo sviluppo dei sistemi di intelligenza artificiale e di una società ormai tecnologica e digitale, dove si incontrano e si scambiano virtuale e reale e tutto corre a velocità impensabili decenni fa. Questo si ripercuote in uno scenario in cui forte è la precarietà lavorativa e valoriale, una “società liquida”, come ci ricorda Zygmunt Bauman.
Cosa significa questo per i nostri ragazzi? È vero che nell’ “epoca delle passioni tristi”, come dice Miguel Benasayag, tutto cade nell’indifferenza in un turbinio accelerato.

Se tutto corre veloce, noi spesso ci sentiamo fermi. I giovani di oggi crescono con l’idea che bisogna arrivare subito, fare presto, riuscire presto, capire presto. Ce lo mostra il marketing, la moda e la paura di sentirsi fuori dal mood, la sindrome FOMO, Fear Of Missing Out, paura di sentirsi tagliati fuori da tutto ciò che è rivoluzionario.


L’attesa non è più vista come un tempo naturale, ma un peso e così ogni pausa diventa ansia e incertezza. Ogni incertezza sembra fallimento. La lentezza ci fa paura perché ci obbliga ad ascoltarci, a guardarci da vicino, nelle nostre fragilità, a riconoscerle e a cercare di dare risposte alle domande irrisolte, eppure proprio lì, nel tempo dell’attesa, nascono le cose più vere: la maturità, la direzione, la consapevolezza di chi vogliamo diventare.
Non serve correre per trovarsi, serve restare abbastanza a lungo, per capire dove siamo. Forse la chiave non è fuggire dal tempo lento, ma imparare a fidarsi di lui.

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