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Rischi Psicologici estivi per gli Hikikomori: come intervenire?

In altri contesti ho parlato del fenomeno degli Hikikomori, un termine giapponese che indica quei giovani — spesso adolescenti — che si ritirano dalla vita sociale per lunghi periodi. Non escono più di casa, a volte nemmeno dalla propria stanza. I rapporti con amici, familiari, scuola o lavoro si interrompono. È un isolamento profondo, spesso vissuto in silenzio, e raramente compreso.

L’estate, che per molti è sinonimo di leggerezza, viaggi, socialità, può essere invece un periodo particolarmente doloroso per chi vive in una condizione di chiusura. Il “rumore” dell’estate — le uscite con gli amici, le serate, il divertimento mostrato e atteso — può accentuare il senso di vuoto interiore, facendo sentire chi è isolato ancora più fuori posto, fuori dal mondo. Questo spesso genera vergogna, senso di inadeguatezza, auto-colpevolizzazione.

I rischi psicologici non sono banali: peggioramento del tono dell’umore, alterazione dei ritmi sonno-veglia, senso di inutilità e fallimento, dipendenza da internet o videogiochi come unica via di fuga, chiusura emotiva verso il mondo esterno.

Gli Hikikomori non sono “pigri” né “viziati”. Vivono un malessere reale, spesso legato ad ansia sociale, perfezionismo, vissuti traumatici o esperienze di esclusione. Sono giovani che hanno perso fiducia nel contatto con l’altro, e che si proteggono ritirandosi.  In questi casi, l’intervento richiede ascolto, delicatezza e tempi rispettosi. Solo così si può aprire, poco a poco, uno spiraglio nella chiusura.

Per chi vive questa condizione, l’estate può essere un tempo difficile. Ma può anche essere il momento per iniziare ad ascoltare quel disagio, a dargli un nome e, con il giusto aiuto terapeutico, iniziare lentamente a ritrovare il contatto con sé stessi.

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