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Essere bambino: fragilità ed esemplarità

Essere bambino oggi non è soltanto una tappa nello sviluppo evolutivo, ma un tema che interroga l’umanità intera. L’infanzia è fragile, esposta, bisognosa di protezione. Non è un “tempo deficitario”, in attesa dell’età adulta, ma una stagione essenziale, che racchiude in sé la possibilità di un nuovo sguardo sul mondo.
La fragilità dell’infanzia, lungi dall’essere una debolezza, è il suo tratto più potente: ci ricorda la vulnerabilità che appartiene a ogni essere umano e la necessità di relazioni di cura e responsabilità reciproca. È uno specchio che mostra quanto siamo capaci – o incapaci – di custodire la vita.

I bambini sono oggi le prime vittime delle guerre. Le cronache recenti ci restituiscono immagini insostenibili: l’uccisione dei bambini di Gaza, come di quelli in Ucraina, in Sudan, in Siria, rende evidente quanto l’infanzia sia colpita in modo diretto e brutale dalla violenza degli adulti.
Un bambino che muore in guerra non è solo una vittima innocente: è il simbolo di un futuro reciso, di una speranza negata, di un mondo che non sa custodire la propria radice più pura. Quando l’umanità dimentica la sacralità dell’infanzia, si autocondanna a ripetere la spirale della distruzione.

E se divenissimo consapevoli a tutti gli effetti che l’infanzia è “paradigma di umanità nuova”?
Molti artisti e pensatori hanno colto nell’essere bambino non solo un passaggio dell’esistenza, ma un paradigma per ripensare l’umano. Il bambino diventa così modello di libertà creativa, di autenticità, di sguardo senza convenzioni.

Pablo Picasso diceva: “A quattro anni dipingevo come Raffaello, ho impiegato tutta la vita per imparare a dipingere come un bambino.”
Un altro celebre pittore, Henri Matisse, sottolineava il valore della semplicità e dell’immediatezza, caratteristiche dell’infanzia, come fonte di forza vitale nell’arte e Rainer Maria Rilke, nelle Lettere a un giovane poeta, invitava a custodire lo sguardo bambino come luogo di autenticità e di contatto con la vita.

L’infanzia è dunque paradigma di un nuovo umanesimo: ci ricorda che la vita va custodita, che lo sguardo va continuamente rinnovato, che la libertà creativa e la fiducia sono radici di ogni convivenza autentica.
Essere bambino significa incarnare la vulnerabilità e insieme la promessa, la dipendenza e insieme la possibilità di un mondo diverso. Custodire l’infanzia – difenderla dalla guerra, dalla povertà, dall’abbandono – non è un atto di generosità, ma un imperativo di giustizia e di civiltà.

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